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Perché rileggere IT

Quest’estate mi sono divorata per la seconda volta a distanza di anni quello che resta uno dei libri forse più significativi della seconda metà del Novecento: IT di Stephen King.
Se lo leggi da giovane ti trovi di fronte ad un teso horror, con un essere che ogni ventotto anni si risveglia dalle fogne di Derry, cittadina tutt’altro che idilliaca e che trova sulla sua strada di creatura giunta dallo spazio in un’epoca preistorica un gruppo di ragazzini, i cosiddetti Perdenti, che poi torneranno per sconfiggerlo da adulti, forse non definitivamente.
All’epoca vidi anche la miniserie, tutt’altro che male per tre quarti, tranne che nello squallido finale da Z Movie anni Cinquanta, con uno strepitoso Tim Curry nel ruolo di Pennywise, magistralmente doppiato in italiano dal grande Carlo Reali che ho avuto modo di incrociare a un Torino Comics qualche anno fa.
A ottobre uscirà al cinema il remake, speriamo che sia all’altezza del libro, cosa non facile perché si tratta di un romanzo complesso e non solo per la sua mole da trasporre sullo schermo.
Leggendolo da grande in IT non trovi più solo una storia horror, ma molto di più. Una denuncia del bullismo, piaga che ti segna a vita, un ricordare l’orrore delle cosidette persone normali, un far notare che per i ragazzi sono gli adulti i veri mostri, e anche tanto altro, perché ciascuno di noi ha avuto e ha il suo Pennywise da affrontare, e forse dimenticare è l’unico modo per andare avanti.
IT è una riflessione sulla vita, sul crescere, sulle disillusioni, sul come si cambia, ma anche alla fine su cosa conta davvero nella vita.
Nelle pagine del libro trovi scritte frasi di questo tipo: Allora vai senza perdere altro tempo, vai veloce mentre l’ultima luce si spegne, vattene da Derry, allontanati dal ricordo… ma non dal desiderio. Quello resta, tutto ciò che eravamo e tutto ciò che credevamo da bambini, tutto quello che brillava nei nostri occhi quando eravamo sperduti e il vento soffiava nella notte. Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po’ di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c’è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio.
Ma c’è anche questo, sugli amici e le persone che si incontrano: Forse non esistono nemmeno amici buoni o cattivi, forse ci sono solo amici, persone che prendono le tue parti quando stai male e che ti aiutano a non sentirti solo. Forse per un amico vale sempre la pena avere paura e sperare e vivere. Forse vale anche la pena persino morire per lui, se così ha da essere. Niente amici buoni. Niente amici cattivi. Persone e basta che vuoi avere vicino, persone con le quali hai bisogno di essere; persone che hanno costruito la loro dimora nel tuo cuore.
Ma alla fin fine il vero orrore della vita è racchiuso in queste frasi, anche se non mi sento di essere così negativa, qualcosa in noi di noi resta, ma ci tornerò: L’energia che si scialacqua con tanta profusione da ragazzi, l’energia che si ritiene non debba mai esaurirsi, si dilegua fra i diciotto e i ventiquattro anni per essere sostituita da qualcosa di assai più opaco, una sensazione fittizia come quella che ti dà una sniffata, aspirazione, forse, o traguardi o comunque voglia chiamarla un qualsiasi universitario rampante. Niente di sconvolgente. Non se ne va tutta d’un colpo, come un grande scoppio. E forse è proprio questo l’aspetto più inquietante […]. Non si smette di essere piccoli tutt’a un tratto, con una grande esplosione, come uno di quei palloncini pubblicitari con gli slogan. Il bambino che hai dentro cola fuori, trapela come aria da una foratura in una gomma. E un giorno ti guardi allo specchio e ti trovi faccia a faccia con un adulto. […] Ed è successo tutto mentre dormivi, forse, come la visita della fatina dei denti

Per cui andiamo a vedere il film sperando che sia all’altezza, ma rileggiamo il libro, perché parla della vita e di noi.

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