Cultura otaku,  Letteratura per ragazzi

L’epopea di Remì finalmente vista

Sono stata una otaku della prima ora, quando gli anime si chiamavano cartoni animati giapponesi, e questa passione mi ha accompagnata ormai per buona parte della mia vita, tolti un paio d’anni da adolescente.
Certe serie le ho viste e riviste varie volte, a cominciare dalla grande, unica, sola Lady Oscar, altre le ho seguite meno e altre, per strani scherzi del destino, mi mancano ancora a distanza di anni. Una di quelle che mi mancavano è Remì, tratto dal romanzo di Hector Malot Senza famiglia, che io lessi a quasi trent’anni.
Nelle scorse settimane sono riuscita a colmare questa lacuna, seguendo questo romanzone ottocentesco appassionante e toccante, con tanto di lieto fine, con la sigla cambiata, forse perché quella originale era ormai troppo cantata nella versione di Orgia Cartoon dei Game Boy.
Che dire? Bello, bello, bello, e per l’ennesima volta dico che gli anime anni Settanta e Ottanta avevano una marcia in più rispetto a quelli più recenti, impeccabili dal punto di vista tecnico ma freddi come storie e personaggi. Una storia appassionante e fedele allo spirito di un classico occidentale, e poi se dietro c’è la mano felice del grande Osamu Dezaki, morto troppo presto, non può che essere un capolavoro. Ecco, è uno di quei pochi anime che non ha perso niente, io non l’avevo visto all’epoca ma l’ho trovato godibilissimo oggi a oltre quarant’anni dalla sua uscita. Prima o poi lo rivedrò, tenendo conto che tra i miei progetti c’è fare un saggio sugli anime tratti dai classici per l’infanzia occidentali e guarderò anche il film dal vivo uscito qualche anno fa, uno degli ultimi ruoli del compianto Jacques Perrin.

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