Il ritorno dei classici
Al Salone del libro, Gallucci editore proponeva in bella mostra la serie di Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery e quella de La casa nella prateria di Laura Ingalls Wilder, mentre Caravaggio editore, che conoscevo già per le pubblicazioni a tema manga e anime, presentava le sue nuove proposte sui classici, come i romanzi meno noti di Louisa May Alcott, Rebelle aveva alcune raccolte vintage di storie gotiche e la casa editrice Jo March si confermava con il suo angolo di libri di autrici dell’Ottocento.
Sono uscite recentemente due biografie di Louisa May Alcott e Laura Ingalls Wilder in italiano, a giorni arriverà al cinema il film su Emily Bronte, autrice di Cime tempestose, l’altra settimana le immagini del commiato di Leiji Matsumoto hanno fatto il giro del mondo facendo struggere i fan e continuano con mia grande gioia gli eventi dedicati a Lady Oscar, dopo quello mitico del 27 e 28 maggio a Milano con Cinzia de Carolis. Il tutto senza contare i tributi ai cinquant’anni della morte di Tolkien, come Sentieri tolkienani il prossimo week-end a Macello e a Chianciano dal 30 giugno al 2 luglio. E potrei continuare, tra repliche di serie e film cult, da La casa nella prateria a Intrigo internazionale, tra mercatini del libro usato affollati, ritorno del vinile, band tributo di cantanti e sigle anni Ottanta e altro ancora.
I classici e il vintage piacciono e non sono solo una moda passeggera: ogni generazione ha i suoi eroi e i suoi modelli, ma ti accorgi che sono tali quando hai qualche anno in più, quando li hai sedimentati nella tua vita, quando ti sei reso conto che tornare a loro ti dà sempre gioia. Forse sono anche un antidoto a un mondo contemporaneo che lascia sempre più basiti, tra deliri tecnocratici e scientisti, politicamente corretto fastidioso ovunque, mediocrità diffusa, integralismi vari. Ma amare il vintage e i classici non vuol dire per forza essere reazionari, e essere a favore di tutto quello che è moderno e nuovo, anche le cose più orrende e assurde, non è certo essere progressisti.
Del resto, mi è capitato anche di parlarne all’evento da Yamato due settimane fa con un paio di fan presenti, alla fine ognuno di noi ha un bagaglio di emozioni e di passioni che si sedimenta dalla tarda infanzia alla giovinezza, e che poi ti accompagna tutta la vita, e su quello costruisci tutto. Quindi, il vintage e i classici, in qualsiasi ambito, diventano doverosi sempre, per stare meglio, per costruire un mondo migliore, come antidoto all’appiattimento. E ne abbiamo davvero bisogno.